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La riforma degli enti locali entra in vigore: Oristano è città media

12/02/2016  - 

Si avvia, dunque, in Sardegna il processo che prevede importanti cambiamenti nello scenario degli enti locali e delle funzioni che gli stessi dovranno svolgere. Diverse le tappe del percorso di riordino che, nelle linee generali, sono già indicate nella legge e coinvolgeranno tutti i soggetti istituzionali locali, dai Comuni alle Province, con quest’ultime che opereranno sino alla necessaria riforma costituzionale nazionale e al successivo referendum previsto per il prossimo autunno. Sin da subito saranno, comunque, soppresse le Province “regionali” (Gallura, Sulcis, Medio Campidano, Ogliastra) che diventeranno “zone omogenee” per l’erogazione dei servizi spettanti alle Province. Entro il mese di febbraio 2016 saranno nominati i nuovi amministratori straordinari (che resteranno in carica sino a tutto il 2016) delle quattro Province cosiddette “storiche”, con la nuova provincia del Sud Sardegna che subentrerà a quella di Cagliari priva dei Comuni metropolitani.

Il cardine della riforma consiste nell’istituzione della Città Metropolitana di Cagliari e delle Unioni di Comuni, nuovi enti locali, con autonomia normativa, organizzativa finanziaria, potestà statutaria e regolamentare. Per costituire una Unione di Comuni sarà necessaria la presenza di almeno quattro comuni e raggiungere una popolazione di almeno 10 mila abitanti. Tra le Unioni, si differenziano le Reti Urbane e le Reti Metropolitane.

La città di Oristano, dunque, non sarà più capoluogo di Provincia, ma diventa “città media”, un titolo riconosciuto a tutti i comuni con più di 30 mila abitanti. Non avrà neppure l’obbligo di far parte di una Unione di Comuni, ma, nel caso decidesse di farlo, costituirebbe con i Comuni associati una “rete urbana”, in pratica una Unione di Comuni senza alcuna diversificazione dalle altre se non quella di assicurare al Sindaco di Oristano la presidenza del nuovo ente.

La proposta di costituzione della rete urbana di Oristano dovrà essere presentata entro il prossimo 12 marzo alla Regione, la quale, entro il 1 aprile 2016, dovrà adottare il piano di riordino territoriale per la definizione degli “ambiti territoriali ottimali” per la gestione delle funzioni. Il piano, se venisse rispettata la tempistica prevista, diventerebbe operativo entro la fine di maggio 2016. Entro novanta giorni dall’approvazione del Piano (presumibilmente intorno al 31 agosto 2016), tutti i Comuni dovranno far parte di una Unione di Comuni esistente o di nuova istituzione.

Diversi gli aspetti ancora indefiniti della riforma, in particolare sulle funzioni comunali che dovranno obbligatoriamente essere trasferite in capo alle Unioni. La legge regionale rimanda alla normativa statale, ma entro il 12 marzo 2016 la Giunta regionale dovrà adottare una delibera con la quale individua il contenuto delle funzioni fondamentali. Alle Unioni saranno assegnate anche parte delle funzioni regionali ora delegate alle Province, mentre tutto è rimandato sulle funzioni provinciali fondamentali, quelle previste dalla legge statale n. 56 del 2014 (legge Delrio). Per ora rimarranno in capo agli enti intermedi, e solo successivamente alla riforma costituzionale dovranno essere assegnate ad altro soggetto istituzionale. Per queste funzioni di area vasta pare più che probabile un’acquisizione della stessa Regione, vista le oggettive  difficoltà a parcellizzare, per esempio, la viabilità provinciale.

Al di là delle funzioni e dei servizi, questa riforma disegna uno scenario completamente diverso anche dal punto di vista politico. Dallo schema delle Province, che garantiva parità di forza istituzionale a tutto il territorio sardo, si passerà ad un quadro regionale che prevede un ente intermedio forte, la Città Metropolitana di Cagliari e il resto del territorio suddiviso in decine e decine di nuovi piccoli enti locali, a loro volta suddivisi in sub-ambiti, una sorta di mosaico istituzionale che, di fatto, cambierà il peso politico dei territori.

Si pone, poi, la questione delle risorse: con le Province i territori potevano contare su entrate proprie derivanti da specifiche imposte provinciali per finanziare servizi locali. In futuro, quelle risorse, al netto dei prelievi forzosi dello Stato, passeranno probabilmente dalla Regione Sarda, che dovrebbe riassegnarle ai territori secondo un progetto di ripartizione approvato annualmente.

Sarà da verificare la sostenibilità di un sistema che, in sostanza, vede un sostanziale aumento degli enti locali, le Unioni di Comuni, finanziati esclusivamente attraverso il Fondo Unico regionale, con la conseguente riduzione delle risorse sinora destinate a Comuni e Province.